Il difensore del generale dei Carabinieri del Ros, Mario Mori, l’avvocato Basilio Milio, interviene sulle motivazioni della sentenza di assoluzione. I dettagli.
Nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta trattativa tra Stato e mafia all’epoca delle stragi del ’92 e ’93, il generale dei Carabinieri del Ros, Mario Mori, come emerge dalle motivazioni appena depositate dalla Corte d’Assise d’Appello di Palermo, è stato assolto con la formula “perché il fatto non costituisce reato”, ovvero il fatto contestato, la trattativa, esiste, ma non costituisce reato perché Mario Mori, insieme ai colleghi Subranni e De Donno avviò “l’iniziativa improvvida” – come scrivono i giudici – di un dialogo con la mafia tramite Vito Ciancimino al fine di evitare altre stragi, quindi a tutela dell’interesse generale e fondamentale dello Stato alla difesa della pubblica incolumità. Inoltre, insinuandosi nella spaccatura tra gli stragisti di Riina e i moderati di Provenzano, avrebbero ammorbidito la pressione su Provenzano guadagnando, più o meno indirettamente, la cattura del più pericoloso Riina. Ebbene, il difensore di Mario Mori, l’avvocato Basilio Milio, ritiene opportuno e doveroso sottolineare che non è corretto, come ha titolato la stampa nazionale, scrivere che la trattativa vi è stata, “almeno – spiega – nel senso deteriore del termine”. Più nel dettaglio, l’avvocato Milio afferma: “Diversi titoli di giornale sostengono che la trattativa ci fu, ma a leggere la sentenza si percepisce tutta un’altra cosa. La Corte d’Assise scrive che ci furono contatti tra i Carabinieri del Ros e Vito Ciancimino, cosa che nessuno ha mai negato, ma non che ci fu la trattativa, almeno nel senso deteriore che al termine è stato attribuito. Peraltro – aggiunge l’avvocato – i giudici, in più di un passaggio, tengono a precisare che il termine trattativa mal si concilia col reato ipotizzato dall’accusa. La trattativa, qualsiasi trattativa che non si discosti dall’accezione comune con cui è intesa tale locuzione, postula un’interlocuzione tra due o più parti finalizzata a giungere ad un accordo che si sostanzi in reciproche rinunce e concessioni. Essa prefigura quindi uno scenario incompatibile con il reato di minaccia a Corpo politico dello Stato, che è il reato contestato. Anche a prescindere da questo, a me di questa sentenza, che comunque ristabilisce la verità su quanto accaduto, preme sottolineare due punti principali: intanto esclude la responsabilità morale dei vertici dei Carabinieri del Ros dell’epoca nella morte del giudice Paolo Borsellino, e poi nega la loro responsabilità giuridica in merito al reato di minaccia allo Stato, affermando che nel cercare il dialogo con Vito Ciancimino avevano come esclusiva finalità la tutela degli interessi collettivi. Insomma, agirono per fermare le stragi, quindi per salvare delle vite umane e tutelare l’incolumità e la sicurezza pubblica. Infatti, tra le motivazioni testualmente si legge: ‘Agirono avendo effettivamente come obbiettivo quello di porre un argine all’escalation in atto della violenza mafiosa che rendeva più che concreto e attuale il pericolo di nuove stragi e attentati’. Inoltre, la sentenza di primo grado, che ha condannato Mori e Subranni a 12 anni di carcere ciascuno, indicava la cosiddetta trattativa come movente della strage di via D’Amelio, mentre nelle motivazioni appena depositate questa conclusione è totalmente smentita e, anzi, si indica nell’inchiesta mafia-appalti svolta dal Ros la possibile causa della decisione di Cosa Nostra di stringere i tempi dell’assassinio di Borsellino, assassinio, precisa la Corte, comunque già in itinere”. E poi Basilio Milio riflette così: “A Palermo 30 anni fa avevano i morti ammazzati agli angoli della strada, i giudici che saltavano in aria con le autobombe e lo Stato, dopo la morte di Borsellino, aveva proclamato pubblicamente la sua resa allo strapotere mafioso. Non a caso i giudici che hanno assolto Mario Mori per la mancata cattura di Provenzano hanno definito quella scelta di contattare Ciancimino non ‘improvvida’ ma ‘lodevole e meritoria”. E poi l’avvocato conclude: “Quel che conta sono le conclusioni a cui sono giunti i giudici, che costituiscono l’ennesima sconfessione dei teoremi giudiziari che perseguitano da 20 anni chi ha combattuto veramente Cosa Nostra”.