Pippo Giordano racconta gli interrogatori di Borsellino con Mutolo alla vigilia della strage di Via D’Amelio. E svela un aneddoto: quando il collaboratore citò Contrada tra i collusi.
Pippo Giordano, ex poliziotto della Dia, la Direzione investigativa antimafia, ha interrogato insieme a Paolo Borsellino il pentito Gaspare Mutolo, una collaborazione con la Giustizia eccellente, che, come si ritiene, avrebbe accelerato l’esecuzione della strage di via D’Amelio. Mutolo è stato a conoscenza delle collusioni tra mafia, politica e istituzioni, e Borsellino è stato depositario delle sue prime dichiarazioni: una pericolosa mina vagante. Pippo Giordano ha partecipato agli interrogatori di Mutolo oltre che con Borsellino anche con il pubblico ministero, Gioacchino Natoli, lo stesso che poi avrebbe istruito il processo “Andreotti”. E all’AdnKronos ricorda: “Nel luglio del 1992 io prestavo servizio alla Direzione investigativa antimafia di Roma. Qualche settimana prima del primo luglio mi fu affidato Gaspare Mutolo. E io, per una questione di sicurezza, decisi di nasconderlo in un appartamento a Roma aspettando l’arrivo del giudice Paolo Borsellino. Il dottor Borsellino arrivò in ritardo perché c’era stato un problema con il Procuratore di Palermo Pietro Giammanco, che non voleva che si occupasse di Mutolo. Quindi, io aspettavo di giorno in giorno, che mi arrivasse l’input per iniziare gli interrogatori con Borsellino. Finalmente il primo interrogatorio si fece. Era il primo luglio 1992. E lo facemmo in un appartamento riservato lì nei dintorni, vicino al centro operativo Dia di Roma. Per me fu un immenso piacere rivederlo anche se il clima era molto teso e triste perché appena 55 giorni prima c’era stata la strage di Capaci. Infatti ci salutammo con un abbraccio, entrambi tristissimi”. E poi Pippo Giordano racconta ancora: “Quel primo luglio andai alla Dia e poi tornai nel pomeriggio, quando stavano per finire il primo interrogatorio, ma non entrai perché non volevo disturbare. Poi passarono due settimane, e il 16 e il 17 luglio Borsellino tornò a Roma per riascoltare ancora Mutolo. E io rimasi per tutto il tempo a seguire l’interrogatorio del collaboratore. Il 17 luglio, cioè l’ultimo giorno di Borsellino con Mutolo, ad un certo punto dell’interrogatorio intervenne il pubblico ministero Natoli che chiese a Mutolo se fosse a conoscenza di personaggi collusi con le istituzioni. Si riferiva ad eventuali politici o poliziotti o carabinieri. E Mutolo tirò fuori per la prima volta i nomi di Bruno Contrada e del giudice Domenico Signorino, che poi si suicidò quando il suo nome fu tirato in ballo da alcuni collaboratori di giustizia. Borsellino si arrabbiò moltissimo. Disse a Mutolo di tacere. Era preoccupato, ma anche nervoso, tanto che accese una sigaretta mentre l’altra era ancora nel posacenere. Borsellino non riteneva ancora che fosse il momento di parlare delle collusioni politiche. Riteneva opportuno seguire un suo metodo. Prima voleva sapere dell’organigramma di Cosa nostra, poi degli omicidi e infine delle eventuali collusioni con polizia, carabinieri e i politici. Questo era il progetto di Paolo Borsellino. Quindi si infuriò quando Natoli gli fece quella domanda. Io da sotto il tavolo diedi un calcio negli stinchi a Mutolo e gli feci capire che non era quello il momento di parlare di questo argomento. Ne avrebbe dovuto parlare solo alla fine. Borsellino ripeté: ‘Non è il momento di fare questi nomi’. A quel punto proseguimmo con l’interrogatorio e finimmo nel pomeriggio. Ci salutammo con una stretta di mano. E lui mi disse: ‘Ci vediamo lunedì, al massimo martedì perché forse devo andare in Germania a sentire dei mafiosi’. La domenica fu ucciso”.