Scarpinato e la mancata verità sulle stragi di mafia: “Per ragioni di sistema e perché dentro Cosa nostra in quel periodo vi è stato un doppio livello informativo”.
L’ex procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, intervenendo ad uno dei tanti dibattiti che si susseguono in occasione dei 30 anni dalle stragi Falcone e Borsellino, ha sollevato il velo su alcune circostanze finora meno conosciute. Ponendosi l’interrogativo sul perché dopo 30 anni non vi è ancora una verità giudiziaria esaustiva su quanto accaduto, ha risposto: “Perché innanzitutto vi sono ragioni di sistema, ovvero il potere in Italia che non ha mai consentito la processabilità e la condanna dei mandanti e dei complici esterni di tutte le stragi che hanno segnato la Prima Repubblica. Tutte le indagini che riguardano le stragi italiane sono state sistematicamente, e con gli stessi metodi, sabotate e depistate da esponenti degli apparati statali, e ciò sin dalle stragi degli anni ’70 e ’80. E poi è impossibile ottenere la verità sulle stragi del ’92 e del 93’ perché i segreti che si nascondono dietro quelle stragi, che vengono da lontano e portano lontano, sono a conoscenza di un ristretto numero di capimafia condannati all’ergastolo. E sono ignorati da tutti gli altri uomini d’onore, compresi numerosi esponenti della commissione provinciale di Cosa nostra. Dai processi sulle stragi emerge che durante il periodo stragista all’interno di Cosa nostra esiste un doppio livello informativo. Il primo livello riguarda i componenti della commissione provinciale e gli esecutori materiali ai quali sono comunicate solo le motivazioni delle stragi strettamente interne agli interessi esclusivi di Cosa nostra. Il secondo livello ristretto invece è riservato solo a pochi capi e ai fedelissimi di Riina – i Graviano, Bagarella, Messina Denaro – i quali invece sono messi a conoscenza della partecipazione al piano stragista di soggetti esterni la cui presenza deve restare segreta anche all’interno dell’organizzazione mafiosa. L’esistenza del doppio livello informativo si evidenziò nella riunione convocata da Riina nel dicembre 1991. Sui contenuti e sulle modalità di svolgimento di questa riunione abbiamo le dichiarazioni convergenti di ben tre collaboratori di giustizia che facevano parte della commissione provinciale: Giovanni Brusca, Antonino Giuffrè e Salvatore Cancemi. Tutti concordano nel dire che la riunione durò meno di tre quarti d’ora e Riina si limitò a comunicare ai partecipanti che si sarebbe dato inizio ad omicidi e stragi per vendicarsi dei nemici come Falcone e dei traditori politici che non avevano mantenuto fede agli impegni presi con la mafia. Null’altro. Riina non dice nessuna parola sul fatto che la riunione del dicembre 1991 era stata preceduta da varie riunioni svoltesi nelle campagne di Enna, nel corso delle quali lui e un ristretto numero di capi, Benedetto Santapaola, Giuseppe Madonia di Caltanissetta, Bernardo Provenzano, avevano a lungo discusso e poi approvato l’adesione di Cosa nostra ad un complesso piano di destabilizzazione politica messa a punto da soggetti esterni a Cosa nostra, da attuarsi con stragi e omicidi, che dovevano dare una spallata al vecchio sistema politico che non offriva più protezione, e che dovevano aprire la via all’ingresso in campo di un nuovo soggetto politico che allora era in fase di formazione. Riina non dice che in quella riunione di Enna si era entrati in alcuni dettagli esecutivi. Lo stesso Rina aveva anticipato che tutte le stragi dovevano essere rivendicate con la sigla della ‘Falange Armata’. E così è stato”.