Di Julio Cortàzar possiedo e ho letto quasi tutto, per questo quando mi trovo davanti un suo testo non ancora nella mia libreria quasi mi commuovo.
Aprendo il libro scopro di averne letto già metà anni fa, quando – mentre con El Aleph si portava fieramente avanti il vessillo del fantastico sudamericano – nell’ansia predatoria di approfondimento trovai questa conversazione fra Julio Cortazar e la studiosa Sara Castro-Klaren estratta dai “Cuadernos Hispanoamericanos”. Se masticate un po’ lo spagnolo la trovate qui, fruibile, non richiede un livello alto.
Altrimenti potete procurarvi questo tomo edito da edizioni sur, in cui alla biografia del Grande Cronopio – sapientemente illustrata da Miguel Rep – fa da contorno (si fa per dire) questo dialogo in cui il Nostro discetta di humour (distruggendo quello nero canonizzato da André Breton), loda Felisberto Hérnandez e disdegna Mauriac, teorizza la “letteratura ereditata” e sfata il mito dell’originalità dell’autore, identificandosi infine con Oblomov e ricordando di essere, più che uno scrittore professionista, “un dilettante che scrive racconti e romanzi”.
E ad avercene di dilettanti così, pensi alla fine del libro, oggi che di dilettanti siamo così pieni.