Un brigadiere dei Carabinieri: “Sono stato io a indicare Salvatore Biondino come l’autista di Riina prima della cattura”. Dettagli e punti interrogativi.
Il brigadiere dei Carabinieri, Walter Giustini, oggi in pensione, ha dichiarato che nei primi mesi del 1992, prima delle stragi, ha saputo dal collaboratore di giustizia, Alberto Lo Cicero, che Salvatore Biondino era l’autista di Totò Riina. E di avere anche relazionato su ciò. E infatti il 15 gennaio del ’93 Riina fu arrestato in automobile insieme a Biondino diretto a casa di Biondino in via Tranchina per partecipare a una riunione della Cupola di Cosa Nostra. Il pentito Balduccio Di Maggio indicò come autista di Riina tale “Salvatore Biondolillo”. Il brigadiere Giustini è intervenuto al “Fatto Quotidiano” dopo che in un articolo le sue dichiarazioni sull’identificazione dell’autista di Riina, Salvatore Biondino, sono state accostate alle motivazioni della sentenza sulla mancata perquisizione del covo di Riina in via Bernini, che ha assolto il generale Mario Mori e il capitano, poi colonnello, “Ultimo”, colui che arrestò materialmente Riina sulla circonvallazione di Palermo. E Giustini riferisce al giornale: “Sono stato io nel gennaio 1993 a dire che l’autista di Riina si chiamava Biondino e non Biondolillo, come indicato dal pentito Di Maggio, proprio perché Lo Cicero me lo aveva indicato come autista di Riina mesi prima. Io ho dato al mio comandante, Marco Minicucci, la fotografia di Biondino. L’11 gennaio ’93, quindi 4 giorni prima dell’arresto di Riina, Minicucci portò la foto di Biondino a Di Maggio, e Di Maggio disse: ‘E’ iddu!’. Ho fornito io a Minicucci la scheda con l’indirizzo di Biondino, in via Tranchina”. E a dimostrazione di avere avuto un ruolo nella cattura di Riina, il brigadiere Giustini ha mostrato un “apprezzamento” del 23 giugno ‘93, firmato dal comandante regionale dell’Arma, Giorgio Cancellieri, e ha dichiarato di avere ricevuto un premio da 1 milione e mezzo di lire. Minicucci a processo ha dichiarato: “Di Maggio parlò di questo ‘Biondolillo’ che era vicino a Riina e addirittura gli poteva fare da autista. Noi facemmo degli accertamenti e non individuammo nessuno: Di Maggio non riconobbe nessuno dei ‘Biondolillo’ che gli mostrammo con foto. Venne in mente a personale da me dipendente di mostrare una fotografia di tale Biondino Salvatore che veniva fuori dalle dichiarazioni del collaboratore Lo Cicero. La mostrammo a Di Maggio e lui riconobbe Biondino come il suo ‘Biondolillo’. Ad avere l’intuizione fu il brigadiere Giustini che disse: ‘vogliamo provare…’ Aggiungo che Di Maggio non fornì l’indirizzo di Biondino”. Ebbene, insorgono degli interrogativi: “Se il 12 gennaio vi fu un sopralluogo con Di Maggio davanti a casa di Biondino, ed il 15 gennaio fu il giorno dell’arresto di Riina, cosa fu fatto sul piano investigativo nei tre giorni dal 12 al 15? Furono fatti pedinamenti di Biondino? Fu messo sotto intercettazione quel soggetto che, in quel momento preciso, era stato indicato come l’autista del Capo dei capi? Perché non fu messa sotto osservazione l’abitazione di Biondino? E’ un fatto raccontato dai collaboratori di giustizia che il 15 gennaio mattina, proprio a casa di Biondino, in via Tranchina, si doveva tenere un summit assieme a tutta la Cupola. Ovviamente alla notizia dell’arresto di Riina tutti si dileguarono, e quando i Carabinieri si recarono nella casa di Biondino non c’era più nessuno. Ancora una volta tornano le domande. Perché non fu dato peso a quelle indicazioni che riguardavano l’autista di Riina? Biondino godeva di qualche protezione alta? Salvatore Cancemi, capo del mandamento di Porta Nuova e poi collaboratore, lo aveva già descritto come un personaggio importantissimo che aveva contatti a tutti i livelli, comprese le istituzioni e i servizi segreti: un uomo di strategia, e nello stesso tempo feroce assassino”. Un altro collaboratore di giustizia, Francesco Onorato, ha raccontato un particolare legato all’omicidio del giovane poliziotto Emanuele Piazza. Lui, Piazza, collaborava in maniera riservata con i servizi segreti alla ricerca dei latitanti. Forse un po’ ingenuo, o forse solo amante del rischio, Emanuele Piazza era riuscito a stringere una buona relazione di conoscenza con Onorato. I due infatti condividevano la passione per la boxe e spesso si fermavano a fare due chiacchiere. In una di queste occasioni passava per caso da quelle parti Salvatore Biondino che li vide. Più tardi Biondino fece chiamare Onorato e gli disse: ‘Ma che fai? Ti abbracci con gli sbirri?’. Come facesse Biondino a conoscere il lavoro super riservato di Emanuele Piazza resta un mistero.