La Procura di Caltanissetta ha chiesto l’archiviazione delle indagini su eventuali interessi esterni alla strage di via D’Amelio. Il giudice per le indagini preliminari si è opposto.
Le stragi del ’92 sono state pianificate e commesse solo da Cosa Nostra? Oppure vi sono stati dei concorrenti esterni? Oppure Cosa Nostra ha ucciso per incarico ricevuto? Sono interrogativi al momento senza risposta, nonostante siano trascorsi 30 anni dagli attentati di Capaci e via D’Amelio. Ecco perché la Procura della Repubblica di Caltanissetta ha chiesto l’archiviazione delle indagini contro ignoti per la strage di via D’Amelio, essendo peraltro scaduto il termine delle indagini preliminari. Ebbene, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Caltanissetta, Graziella Luparello, il magistrato originario di Grotte in provincia di Agrigento che ha condannato in primo grado Antonello Montante a 14 anni di reclusione, ha respinto la richiesta di archiviazione sollecitando una nuova attività istruttoria, da completare nell’arco di 6 mesi, tra acquisizioni di documenti e interrogatori, “procedendo se necessario – ha scritto la Luparello – a nuove iscrizioni nel registro degli indagati”. Perché la Procura di Caltanissetta ha chiesto l’archiviazione? Per due ragioni. La prima: una entità forte come la Cosa Nostra di Totò Riina mai avrebbe accettato di eseguire decisioni criminali esterne. La seconda: se eventualmente vi siano stati personaggi esterni alla mafia, anche appartenenti ad istituzioni deviate, che abbiano offerto il proprio contributo alla strage, dalle indagini non sono emersi indizi a carico di soggetti concretamente identificabili. Invece il giudice Graziella Luparello ha replicato: “Le indagini sulla strage di via D’Amelio non possono ritenersi complete perché non risultano avere esplorato e approfondito dei temi investigativi di particolare interesse, alcuni dei quali già noti al momento della formulazione della richiesta di archiviazione, altri sopravvenuti e divenuti fatti notori. Si tratta di ampliare il panorama di osservazione anche alle stragi del ’93 sul territorio nazionale, e valutarle in chiave comparativa con le stragi del ’92. E poi estrapolarne – ove esistenti – i tratti comuni, e riscontrare un eventuale modello stragistico-terroristico comune tra le esplosioni di Palermo, Roma, Firenze e Milano. Bisogna quindi approfondire il tema della interazione tra associazioni mafiose, destra eversiva, servizi segreti e massoneria, come emerge ormai da diversi atti processuali”. Secondo il giudice Luparello, nell’ambito di tale presunto mutuo soccorso, stipulato tra mafia ed eversione di estrema destra, si colloca, anzitutto, l’omicidio del 6 gennaio 1980 a Palermo del presidente della Regione Siciliana, Piersanti Mattarella, che aveva assunto un atteggiamento intransigente rispetto al fenomeno delle collusioni tra mafia e imprenditoria in materia di appalti pubblici, e che era in corsa per la vicepresidenza nazionale della Democrazia Cristiana. Sono stati condannati i mandanti mafiosi dell’omicidio. Invece sono stati imputati e poi assolti, con motivazioni discutibili, alcuni esponenti della estrema destra eversiva appartenenti ai Nar. Ad una compenetrazione tra pista nera e pista mafiosa si riferì già Giovanni Falcone ascoltato il 3 novembre del 1988 dalla Commissione parlamentare Antimafia. E il segreto sull’audizione è stato tolto solo nel 2019. Giovanni Falcone, tra l’altro, affermò: “Certi delitti sono di matrice mafiosa. Ma il movente non è sicuramente mafioso, e comunque non è esclusivamente mafioso. Il problema di maggiore complessità per quanto riguarda l’omicidio Mattarella deriva dall’esistenza di indizi a carico anche di esponenti della destra eversiva. E’ quindi un’indagine estremamente complessa perché si tratta di capire se e in quale misura ‘la pista nera’ sia alternativa rispetto a quella mafiosa, oppure si compenetri con quella mafiosa. Il che potrebbe significare saldature, e soprattutto la necessità di riscrivere la storia di certe vicende del nostro Paese, anche da tempi assai lontani”.