Ricerca della verità e polemiche politiche: Roberto Scarpinato e Giovanni Fiandaca intervengono a 30 anni dalle stragi di Capaci e Via D’Amelio. I dettagli.
In occasione del trentesimo anniversario delle stragi di Capaci e via D’Amelio, e della morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, due sono gli argomenti su cui ruota il dibattito storico e politico. Sotto il profilo storico è la ricerca della verità, che sia anche processuale e non solo storica. Nell’ambito politico sono invece le ricorrenti polemiche sull’impegno in politica di Marcello Dell’Utri e Totò Cuffaro. Sul primo, la ricerca della verità, interviene l’ex Procuratore generale a Palermo, Roberto Scarpinato, così: “La verità doveva essere nascosta ad ogni costo, e andava al di là del livello militare. Altrimenti perché fare sparire l’agenda rossa? Altrimenti perché creare falsi collaboratori? Per nascondere l’identità dei mandanti esterni. Falcone e Borsellino non sono stati uccisi soltanto da Riina e Provenzano. Loro sono stati i macellai. Dietro ci sono state ‘menti raffinatissime’, un potente sistema criminale che ha utilizzato Riina e Provenzano come braccio armato ma aveva un progetto politico molto ampio. 30 anni fa la mafia spadroneggiava a Palermo. Oggi si devono nascondere. Ciò nonostante ci sono. Hanno capito che la violenza non paga. Anzi la violenza ti fa finire sui media, e quindi oggi hanno un rapporto diverso con la città: ti vendono la droga, ti vendono il gioco d’azzardo, continuano a fare le estorsioni, e gli imprenditori, salvo rare eccezioni, non denunciano. Questo perché sanno che non sono i processi che possono cambiare la realtà, ma è la politica: finché ci saranno quartieri poveri e degradati che offrono manovalanza continua per la mafia non riusciremo a uscirne fuori da questa storia, che va avanti ormai da tempo, troppo tempo” – conclude Scarpinato. In riferimento invece alle polemiche “Dell’Utri e Cuffaro” interviene il docente universitario emerito di Diritto penale all’Università di Palermo e giurista, Giovanni Fiandaca, che afferma: “Una persona che ha già scontato la pena inflittale, ha saldato il debito con la società, ha riparato il male commesso, ed è pertanto ritornato a essere un cittadino in pieno possesso dei suoi diritti che nessuno si può permettere di censurare pubblicamente a causa dei reati commessi in passato. Persone come Salvatore Cuffaro o Marcello Dell’Utri hanno tutta la libertà, se lo ritengono, di continuare a impegnarsi politicamente. E sarebbe ingiusto e incostituzionale pretendere di criticarli per il semplice fatto che da ex condannati, per reati di contiguità mafiosa, intendono continuare a esercitare un ruolo politico attivo, eventualmente condizionando le dinamiche politico-elettorali. Altra cosa è il diritto a ricandidarsi che, in questo caso, presuppone un giudizio di riabilitazione ancora a di là da venire, almeno secondo il diritto tuttora vigente, sempre che la Corte europea non dica niente di nuovo sul punto. Se, ad esempio, sono un elettore di centrosinistra, non sarò, in linea di corretto principio, legittimato a basare, oggi, la mia critica al centrodestra soprattutto sul fatto che continuino ad avervi un ruolo attivo personaggi alla Cuffaro o alla Dell’Utri. Piuttosto, riconosciuta la piena libertà e legittimità dell’uno o dell’altro di volere continuare a impegnarsi in politica, la critica dovrebbe rivolgersi al merito politico, al senso e al contenuto dei consigli, dei suggerimenti o delle proposte concrete che personaggi ex condannati potrebbero portare nel dibattito politico. E se il professore Lagalla accetta quel sostegno, non vuol dire che stia accettando di difendere interessi oscuri. Questo è un modo giustizialista e populista di intendere”.