Del fantastico amo ogni declinazione, dal racconto colto di Borges alla narrazione gotica di Poe all’ampio ventaglio di realismo magico che va da Carpentier a Kudrjavitskij. Fra quelli che sono i più antichi e straordinari esempi di letteratura fantastica, sono sempre stato affascinato dai Bestiari medievali. Da fiero possessore dell’inarrivabile “Codex Seraphinianus”, non potevo quindi farmi mancare “Le Afflizioni”, le cui creature impossibili sono figlie di malattie fuori da ogni ordinaria razionalità.
L’espediente alla base sarebbe piaciuto possibilmente proprio a Borges: la storia muove i passi infatti da un farmacista nano che si appresta a diventare bibliotecario della Central Library per farsi custode dell’immensa, misterica Encyclopaedia Medicinae, opera che raccoglie l’assurdo sapere che si dipana in queste pagine.
Quel che di straordinario si trova in questo bestiario medico – quantomeno singolare da leggere nel pieno di una pandemia – è che, andando oltre al substrato descrittivo di ogni sintomatologia, Paralkar esplora le fragilità umane e ne mette in luce l’assurdità dei desideri.
L’autore (un rinomato ematologo di origine indiana) mette su qui una fantasmagoria di paure, desideri e aporie della società contemporanea, rendendo patologia fisica quel che è in origine sentimento e concetto, esplorando il brutto, il bello, l’aspirazione, il rifiuto e molte delle umane contraddizioni.
Il libro è una continua allegoria portata avanti col piglio dell’uomo di scienza – il che corrobora le ragioni per cui amo gli scrittori di formazione non eminentemente letteraria (qualcuno ha detto Celine e Gadda?) – mischiando a un approccio contemporaneo una prosopopea d’altro tempo, dagli echi, appunto, medievali; chiusa l’ultima pagina, non si può fare a meno di pensare a quante nostre quotidiane afflizioni genererebbero altrettante malattie fantastiche, degne tutte di ampliare il novero di un’Encyclopaedia Medicinae che oggi sarebbe destinata a crescere di un tomo al giorno.