Altri particolari sulla requisitoria d’Appello al “Sistema Montante”: il ruolo dei co-imputati e di coloro ruotati intorno all’ex presidente di ConfIndustria Sicilia.
Emergono altri dettagli di rilievo dalla requisitoria del sostituto procuratore generale di Caltanissetta, Giuseppe Lombardo, in Corte d’Appello, nell’ambito del processo, in abbreviato, al “Sistema Montante”. Lombardo, ad esempio, ha spiegato: “La sistemazione lavorativa o il trasferimento del pubblico ufficiale di turno, o di suoi parenti o amici, era la moneta spesa da Montante per pagare i sodali: una sorta di ripartizione degli utili prodotti da un’impresa che, con modalità illecite, creava e gestiva il potere. A Montante va doverosamente riconosciuto il diritto d’autore sulla nascita dell’ ‘Antimafia confindustriale’ come forma di ‘business’ utile a garantire un posto ai tavoli che contano”, come ha scritto la giudice Graziella Luparello nel motivare la sentenza di condanna di primo grado. Anche nell’aula d’Appello sono state rievocate le motivazioni addotte dalla Luparello. Ad esempio così: “In riferimento ai poliziotti co-imputati di Montante, Marco De Angelis e Diego Di Simone, è evidente come Montante, Di Simone e De Angelis fossero legati da un patto, da cui nasceva una organizzazione stabile, il cui oggetto sociale consisteva nella commissione di un numero indeterminato di accessi abusivi al sistema informatico. Ed è altrettanto evidente come Montante fosse legato da analogo rapporto associativo con l’imprenditore Massimo Romano, con il colonnello Gianfranco Ardizzone, gli ufficiali della Finanza Ettore Orfanello e Mario Sanfilippo, responsabili di avere orientato l’attività istituzionale – tra verifiche fiscali e indagini penali – verso il soddisfacimento dell’interesse personale di Montante, ricavandone apprezzabili e significative utilità, tra posti di lavoro e trasferimenti”. Poi, ancora cavalcando le motivazioni della giudice Luparello, anche in Appello si ripropone la tesi accusatoria secondo cui “tutto sarebbe partito tra il 2004 e il 2005, cioè gli anni in cui Montante si travestiva da uomo della Provvidenza, unto dal Signore per redimere i peccatori, fossero essi imprenditori, giornalisti o liberi professionisti, flagellarli per i loro misfatti e purificarli. Montante insignì se stesso come ‘paladino dell’antimafia’, estendendo la stessa etichetta ai suoi amici e sodali, e dichiarando mafiosi i suoi avversari, in difetto di qualsiasi prova di mafiosità. E così vi è stato un ribaltamento linguistico: la parola ‘mafia’ diventò il luogo nominale in cui confinare tutti gli eretici alla religione di Montante, mentre la parola ‘antimafia’ era il santuario degli osservanti rispettosi del pensiero di Montante, per assicurarsi ascesa sociale e occupazione di posti di potere. Quindi Montante è stato il motore di un meccanismo perverso di conquista e gestione occulta del potere che, sotto le insegne dell’antimafia, ha sostanzialmente occupato, con la corruzione sistematica e le raffinate operazioni di ‘dossieraggio’, molte delle istituzioni pubbliche, dando vita a un fenomeno che non è mafia bianca, ma trasparente, apparentemente priva di consistenza tattile e visiva e perciò in grado di infiltrarsi eludendo la resistenza delle comuni misure anti-corpali. Montante aveva una spiccata attitudine alla manipolazione della realtà, mediante manovre di varia natura, unificate dall’obiettivo di precostituire prove a sé favorevoli”.