L’inchiesta sulla presunta “trattativa” tra Stato e mafia all’epoca delle stragi: la Procura Generale di Palermo invoca la conferma delle condanne inflitte in primo grado.
Al processo di secondo grado, in corso innanzi alla Corte d’Assise d’Appello di Palermo, presieduta dal giudice Angelo Pellino, nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta “trattativa” tra Stato e mafia all’epoca delle stragi, i sostituti Procuratori Generali, Giuseppe Fici e Sergio Barbiera, a conclusione della requisitoria, hanno invocato la conferma delle condanne inflitte, in primo grado, dopo 201 udienze, dalla Corte d’Assise presieduta dal giudice Alfredo Montalto, il 20 aprile del 2018. E dunque, 28 anni di carcere a carico del boss Leoluca Bagarella, cognato di Totò Riina, e unico corleonese storico in vita dopo la morte di Provenzano e Riina. Poi 12 anni di reclusione per il generale dei Carabinieri del Ros, Mario Mori, già a capo del servizio segreto civile. E 12 anni sono stati proposti anche per un altro ex Carabiniere in servizio al Ros a cavallo del periodo di tempo incriminato, il generale Antonio Subranni, 12 per il medico mafioso Antonino Cinà, e ancora 12 anni per l’ex senatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri, che ha già scontato la pena di 7 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. E poi 8 anni per il colonnello, all’epoca capitano del Ros, Giuseppe De Donno. Ai sei imputati è contestato il reato di minaccia e violenza a Corpo politico dello Stato, articolo 338 del Codice penale. Secondo la tesi dei magistrati inquirenti di Palermo, sia di primo che di secondo grado, tra il 1992 e il 1994, tra le stragi di Capaci, via D’Amelio, e gli attentati di Roma, Firenze e Milano, vi sarebbe stato il tentativo di interrompere tale escalation, la cosiddetta “strategia stragista”, tramite il dialogo con la mafia. E così Cosa nostra avrebbe ricattato lo Stato con la complicità di uomini dello Stato. E infatti, il sostituto Procuratore Generale, Sergio Barbiera, così ha concluso in aula la sua arringa accusatoria: “Uomini delle istituzioni, apparati istituzionali deviati dello Stato, hanno intavolato una illecita e illegittima interlocuzione con esponenti di vertice di Cosa nostra per interrompere la strategia stragista. La celebrazione del presente giudizio ha ulteriormente comprovato l’esistenza di una verità inconfessabile, di una verità che è dentro lo Stato, della trattativa Stato-mafia che, tuttavia, non scrimina mandanti ed esecutori istituzionali perché, come ha ricordato il Capo dello Stato nel corso delle commemorazioni dell’anniversario della strage di Capaci, o si sta contro la mafia o si è complici. Non ci sono alternative”. All’udienza è stato presente, collegato da località protetta, anche il boss pentito Giovanni Brusca, che per la prima volta ha partecipato al dibattimento da uomo libero dopo la scarcerazione per fine pena. In primo grado le accuse nei suoi confronti sono state dichiarate estinte per prescrizione grazie alle attenuanti previste per i collaboratori di giustizia.