L’ex ministro degli Interni, Vincenzo Scotti, ascoltato dalla Commissione regionale antimafia sul depistaggio delle indagini dopo la strage di Via D’Amelio. I dettagli.
Dopo l’ex ministro della Giustizia all’epoca delle stragi di mafia del ’92, Claudio Martelli, e dell’ex Procuratore aggiunto a Palermo, Antonio Ingroia, la Commissione regionale antimafia, presieduta da Claudio Fava e impegnata in un’inchiesta di approfondimento sul clamoroso depistaggio delle indagini dopo la strage di Via D’Amelio contro Paolo Borsellino, ha audito l’ex ministro degli Interni a cavallo tra le stragi di Capaci e Via D’Amelio, Vincenzo Scotti. Lui, Scotti, ha ricordato: “Dopo che Falcone venne a Roma a fare il direttore generale degli Affari penali, e dopo il decreto con il quale abbiamo nuovamente arrestato tutti i condannati del maxiprocesso, arrivarono segnali forti, tramite i Servizi Segreti, che annunciavano una reazione violenta della mafia. Chiesi di essere convocato d’urgenza in Parlamento ma paradossalmente mi si disse che avrei dovuto chiedere scusa per avere creato tensione. Io ribadii la serietà dei segnali che avevamo ricevuto e misi comunque tutti i questori e i prefetti in massima allerta. Anche parte del mondo giudiziario e investigativo reagì come se avessimo esagerato. In sostanza a quel punto io chiesi: vogliamo conviverci con la mafia o le facciamo la guerra? Nascondere ai cittadini che siamo di fronte a un tentativo di destabilizzazione delle Istituzioni da parte della criminalità organizzata è un errore gravissimo. Io ritengo che ai cittadini vada detta la verità e non edulcorata. Io me ne assumo tutta la responsabilità. Se qualcuno ritiene che questo non sia vero sono pronto alle dimissioni, ma non cedo il passo su questo terreno, ho detto che l’allarme sociale è altissimo e la gente deve sapere queste cose. Siamo un Paese di misteri e io non intendo gestire il ministero degli Interni con una condizione di silenzio o di misteri e senza mettere su carta le cose che si fanno”. E poi Vincenzo Scotti ha riferito: “Dopo il mio passaggio al ministero degli Esteri, al mio posto agli Interni fu nominato Nicola Mancino, e il mio capo di gabinetto mi disse che gli era stato chiesto di riferirmi di non interferire più in questioni legate alla mafia. Io, però, non ho chiesto da chi fosse venuto il suggerimento. E non seppi che i Servizi Segreti del Sisde avevano ricevuto la delega operativa sulle indagini”.