L’ex ministro della Giustizia, Claudio Martelli, ascoltato dalla Commissione regionale antimafia: “L’omertà ha ucciso Paolo Borsellino. Non credo alla trattativa”.
L’ex ministro della Giustizia all’epoca delle stragi di mafia del ‘92, Claudio Martelli, è stato convocato e audito dalla Commissione regionale antimafia, presieduta da Claudio Fava, nel merito dell’approfondimento avviato dai commissari siciliani sul clamoroso depistaggio delle indagini dopo la strage di Via D’Amelio. E Martelli ha esordito così: “L’omertà più o meno consapevole ha ucciso Paolo Borsellino. Ed è stata un’omertà di Stato”. E poi ha aggiunto: “Borsellino non solo non fu protetto, e neppure piazzarono il divieto di sosta sotto la casa della madre in Via D’Amelio, ma venne tenuto all’oscuro delle minacce a suo carico. Basti pensare che una nota dei Carabinieri del Ros che lanciava l’allarme fu trasmessa per posta ordinaria e arrivò quattro giorni dopo la strage. E ciò nonostante le segnalazioni ricevute ripetutamente da me e dai miei uffici, dal ministro Scotti, dal capo della Polizia, in ordine alla tutela che doveva essere messa in atto per Borsellino. Ed invece il giudice e gli uomini di scorta saltarono in aria. Io mi precipitai a Palermo e convocai tutti quanti: vertici dei Carabinieri, della Polizia, della Finanza, dei Servizi segreti, della Procura. Era inaccettabile ciò che era accaduto, era la prova di una colpevole incuria o di qualcosa di peggio. Mi chiedo come è stato possibile che non ci sia stata nessuna indagine, nessuna inchiesta su questo fronte. Ci si sorprende dei depistaggi, ma innanzitutto c’è la mancata protezione di Borsellino, la mancata sorveglianza della casa della madre. C’è stata omissione, omertà più o meno consapevole”. Poi Martelli ricorda quando Giovanni Falcone fu tagliato fuori dalla corsa per assumere l’incarico di Consigliere istruttore a Palermo, subentrando ad Antonino Caponnetto, e quando si trasferì a Roma. E Claudio Martelli spiega: “Il sindaco Leoluca Orlando e l’avvocato Alfredo Galasso lo accusarono di avere tenuto nel cassetto alcune prove. Se non fosse stato questo il clima a Palermo non ci sarebbe stato bisogno che io chiamassi Falcone a Roma per continuare il suo lavoro agli Affari penali, per rendere legge la sua esperienza”. Poi Martelli si è soffermato sulla presunta “trattativa” tra Stato e mafia, per la quale si è concluso il processo di primo grado, adesso in Appello, con severe condanne. E riflette così: “Non credo che fu una trattativa, non ho mai creduto che si fossero messi a trattare. Il fatto che il generale Mario Mori, ufficiale del Ros, abbia riferito di avere detto a Vito Ciancimino: ‘ma dobbiamo continuare a fare muro contro muro’, mi fa ridere, ma non credo che abbia trattato. Lo Stato non tratta, l’avrà fatto a titolo personale. E’ invece sul piano politico che bisogna concentrarsi. L’ex ministro della Giustizia, Giovanni Conso, che non rinnovò il 41 bis a tanti mafiosi in carcere, disse che si voleva dare un segnale di disponibilità all’ala moderata di Cosa Nostra al fine di evitare nuove stragi. Questa è la verità. Si è pensato di dare delle concessioni. Ho sempre pensato a un cedimento dello Stato, non a una trattativa. E’ stata un’idea sbagliata, e lo dimostra che dopo la disponibilità gli attentati sono continuati”.