Appello – preghiera del presidente della Commissione regionale antimafia, Claudio Fava: “Non commemoriamo più i nostri morti. Affrontiamo la vita”.
Il 23 maggio è stato Giovanni Falcone, domenica prossima 19 luglio sarà Paolo Borsellino, tra le stragi di Roma, Firenze e Milano. Poi saranno i giudici Livatino e Saetta, 21 e 25 settembre. E poi altri ancora tra Dalla Chiesa, Chinnici, Costa, Cassarà, Montana e Pippo Fava, giornalista scomodo ucciso da Cosa Nostra il 5 gennaio del 1984, padre di Claudio Fava, che adesso lancia un appello, che non è una provocazione, ma, almeno nelle intenzioni, una profonda riflessione. “Non commemoriamo più i nostri morti, seppelliamoli, una volta per tutte, compreso mio padre, e affrontiamo la vita”: sono parole di Claudio Fava, presidente della Commissione regionale antimafia. L’appello di Fava è in forma di preghiera, come se lui si rivolgesse al trascendente, e scrive: “Le ricorrenze siano liberate da preghiere, messe in suffragio, commemorazioni, navi della legalità. 19 luglio, 23 maggio, o 5 gennaio: credetemi, non fa differenza. Liberaci dalle interviste ai ‘parenti delle vittime’ (come se gli altri fossero solo forestieri). Liberaci dalle parole false della nostra consolazione: eroi, legalità, antimafia, servitori dello Stato. Liberaci dagli scortati che piangono davanti alle telecamere. Liberaci dall’antimafia stampata sui biglietti da visita (giornalisti antimafiosi, sindaci antimafiosi, giudici antimafiosi). Seppelliamo i morti, una volta per tutte. E togliamoci il lutto, per piacere. E affrontiamo la vita. L’unica prova per esser degni di quei morti è stare dentro la vita; prendere schiaffi, e restituirli; rischiare la pelle (se proprio è necessario) ma senza rimirarsi allo specchio; dirsi peccatori, ma inginocchiarsi a lavare i piedi dell’altro per fare ammenda di quei peccati; sorridere e ridere e ricordare i morti quando furono vivi e seppero parlarci – con affetto, a bassa voce – delle loro vite imperfette; cercare la verità, senza alcuna maiuscola, sapendo che costa pegni, fatica e notti senza sonno; attraversare le terre di mezzo a piedi, scalzi, senza scorte, fanfare, sciabole, titoli e cravatte. Con una convinzione: sono sicuro che Paolo Borsellino, e tutti gli altri, lo apprezzeranno”.