Il ponte sullo Stretto di Messina: doccia fredda del premier Conte. “Prima la rete viaria in Sicilia, poi costruiamo l’ultimo miglio sul mare tra l’Isola e la Calabria.
A Genova è stato ricostruito il ponte crollato in un anno. In Sicilia non sono stati sufficienti cinque anni per ricostruire una sola campata del viadotto Himera franata lungo la Palermo – Catania, così come il trascorrere di altrettanti anni, più o meno, è stato necessario per il ponte Verdura sulla statale 115 in territorio di Ribera, o per il viadotto Petrulla, rovinato a terra tra Licata e Ravanusa. E chissà ancora quanto tempo trascorrerà per la restituzione al transito del secondo tratto a sud – ovest del viadotto “Morandi” o “Akragas” ad Agrigento, chiuso dal 2017, o per il viadotto “Petrusa” al confine tra Agrigento e Favara (l’Anas ha promesso a maggio, trascorso maggio adesso, a giugno, ha appena promesso a luglio). Tutto ciò è una assurdità tutta italiana, e siciliana, che riflette l’Italia a due velocità sullo sfondo dell’atavica questione Meridionale risalente al post epoca borbonica e dell’unità di Italia. Il paradosso è: da una parte, a nord, lo scontro anche violento, già col rischio della crisi di governo, per costruire o non costruire la Tav, la tratta ad alta velocità in Piemonte, tra Torino e Lione. E, dall’altra parte, a sud, in Sicilia, il lastrico e il collasso economico perché non si costruisce alcunché e le infrastrutture stradali giacciono solo sulla carta dei progetti e negli annunci della classe politica di turno. L’ultima, la giunta di Musumeci, ha annunciato una denuncia contro l’Anas, per avere peccato con “pensieri, parole, opere e omissioni”, e scusate la mia citazione dalla preghiera del “Confesso a Dio onnipotente”. Adesso è alla ribalta delle cronache quotidiane la costruzione o no del ponte sullo Stretto di Messina, tra favorevoli, contrari e, altra categoria, i prudenti. E i prudenti sono coloro che ritengono opportuno prima dotare la Sicilia di una rete viaria al passo con il 2020 e non con il 1920, e poi, dopo – ecco la prudenza, nel senso della ragionevolezza – cimentarsi nella costruzione del ponte sullo Stretto di Messina, concretizzando il tanto auspicato corridoio Berlino – Palermo. Nell’elenco dei “prudenti” si è già iscritto nei giorni scorsi il viceministro siciliano ai Trasporti, Giancarlo Cancelleri. E adesso è il presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte, ad assurgere tra i “prudenti” verso il tratto di asfalto sopra il mare di Scilla e Cariddi, tra Villa San Giovanni e Messina. Infatti, il premier, “l’avvocato del popolo” (come suole definirsi), interrogato ha risposto: “Non dobbiamo dividerci perché la questione si porrà quando avremo completato sia le infrastrutture per arrivare al ponte, che quelle in Sicilia. Di fronte a una rete adeguata avremo il problema dell’ultimo miglio, ovvero il ponte sullo Stretto di Messina. Sono favorevole a tutto ciò che ha una razionalità economica, che risponde all’interesse generale e fa bene al Paese. Quindi ragionare oggi del ponte sullo Stretto è una fuga in avanti. Domani, di fronte a infrastrutture realizzate, ragionarci diventa una necessità”.