Prosegue il processo d’Appello a Caltanissetta cosiddetto “Capaci bis”. La requisitoria della Procuratore Generale, Lia Sava.
A Caltanissetta, al palazzo di giustizia, innanzi alla Corte d’Assise d’Appello, è in corso il processo di secondo grado cosiddetto “Capaci bis”, ovvero il secondo troncone dell’inchiesta sull’attentato a Giovanni Falcone il 23 maggio del 1992. Gli imputati sono Salvo Madonia, Lorenzo Tinnirello, Cosimo Lo Nigro, Giorgio Pizzo, già condannati all’ergastolo in primo grado, e Vittorio Tutino, assolto. La Procuratore Generale di Caltanissetta, Lia Sava, è impegnata nella requisitoria. E nel corso della sua arringa, tra l’altro si è espressa così: “La chiave di volta di tutte le stragi del ’92 e del ’93 è il tritolo. Durante il processo abbiamo compreso dove il tritolo è stato preso, ossia dalle bombe residuati bellici della seconda guerra mondiale, e chi poi lo ha macinato. E questo grazie alla collaborazione di Cosimo D’Amato, la cui decisione di collaborare faceva paura a Cosa Nostra. Quando D’Amato iniziò la sua collaborazione, i suoi familiari gli dissero ‘non farti tentare dal diavolo’. Molto utili sono state anche le collaborazioni di Gaspare Spatuzza, Giovanni Brusca, Angelo Siino, Fabio Tranchina e Antonino Giuffrè. Le indagini per la strage di Capaci non si fermano. La prova è che in questo giudizio di appello abbiamo ascoltato altri collaboratori di giustizia e abbiamo messo a disposizione delle difese acquisizioni sul cosiddetto doppio cantiere di preparazione della strage, che sono ancora in corso di approfondimento. Ad esempio, la genetista Nicoletta Resta ha ipotizzato la presenza di una donna sul cantiere di Capaci. Tuttavia occorrono elementi di prova certi, e nessuna di queste piste allo stato attuale consente di individuare la presenza di soggetti esterni a Cosa Nostra, ma le indagini per individuare eventuali concorrenti esterni continuano e non si fermano, fermo restando che la responsabilità di Cosa Nostra è scontata: basta pensare a conferma di ciò alle risultanze dei colloqui in carcere del 2013 fra Salvatore Riina e Alberto Lorusso, in cui il capo dei capi Riina rivendica con malsano orgoglio di avere realizzato la strage di Capaci e quella di via D’Amelio. Giovanni Falcone era considerato un nemico storico di Cosa Nostra. Aveva indagato sul sistema degli appalti, sulla loro spartizione, scoprendo intrecci tra mafia e politica. Cosa Nostra aveva capito che Falcone, pur essendo a Roma, era diventato particolarmente pericoloso perché avrebbe potuto scardinare l’esito del maxi processo. Dalle dichiarazioni rese da Antonino Giuffré, abbiamo anche scoperto che Riina, prima di deliberare le stragi del ’92, aveva fatto dei sondaggi per vedere se alcuni settori malsani delle istituzioni potevano avere interesse ad eliminare Falcone. E in effetti, dopo l’attentato all’Addaura, con il quale la mafia decretò la condanna a morte del magistrato, iniziò una campagna denigratoria nei confronti del giudice anche da parte di alcuni suoi colleghi e di diversi esponenti politici”.