Le divergenze tra Procura e Tribunale di Palermo sulle ordinanze cautelari nell’ambito dell’inchiesta “Sorella Sanità”. Le intercettazioni sul canale di comunicazione riservato.
Nell’ambito dell’inchiesta cosiddetta “Sorella Sanità”, sfociata nel blitz dello scorso 22 maggio, la Procura della Repubblica di Palermo ha invocato al Tribunale l’arresto di diciotto persone, 15 in carcere e 3 ai domiciliari. Invece il Giudice per le indagini preliminari ha letto gli atti istruttori e ha concesso l’arresto in carcere solo per due indagati, Fabio Damiani, 55 anni, già responsabile della Centrale unica di committenza per gli appalti sanitari e direttore dell’Azienda sanitaria provinciale di Trapani, e Salvatore Manganaro, 44 anni, di Canicattì, presunto “faccendiere” di riferimento di Damiani. Entrambi, Damiani e Manganaro, in sede di interrogatorio di garanzia innanzi al Gip, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. E il Gip ha imposto l’arresto ai domiciliari ad altri otto indagati, tra cui Antonio Candela, 55 anni, di Palermo, già direttore dell’Azienda sanitaria provinciale di Palermo e coordinatore per l’emergenza covid in Sicilia, e Giuseppe Taibbi, 47 anni, di Palermo, ritenuto il “faccendiere” di riferimento di Candela. Perché la Procura ha preteso 15 arresti in carcere? Perché secondo i titolari delle indagini, ovvero il procuratore aggiunto Sergio Demontis e i sostituti Giovanni Antoci e Giacomo Brandini, solo il carcere avrebbe stroncato le presunte trame per il controllo degli appalti nella sanità siciliana. Invece il Gip, ossia la giudice Claudia Rosini, ha firmato solo 2 arresti in carcere e 8 ai domiciliari, valutandoli come sufficienti per scongiurare l’inquinamento probatorio, la reiterazione del reato e il pericolo di fuga. Da dove emerge il rischio di inquinamento probatorio? La risposta è che il rischio di inquinamento probatorio affiora a galla dal lavoro di raccolta di dati informatici e di decriptazione compiuto dai Carabinieri del Nas. Decriptazione perché? Perché alcuni indagati avrebbero utilizzato un canale di comunicazione riservato tra di loro. A conferma di ciò, ad esempio, Salvatore Manganaro conversa con l’imprenditore Roberto Satta e le sue parole sono: “… mi distruggi i messaggi un minuto dopo… non rispondo… tu non aprire… solo tu lo puoi leggere…” E poi, in altra conversazione, registrata nel febbraio 2019, il canicattinese Manganaro così si rivolge ad alcuni suoi interlocutori: “… facciamo un passo indietro… io sono stato con Galatioto a Canicattì… ho chiarito la figura di Galatioto, noi troveremo il modo anche nella comunicazione, questo cognome su Telegram ce lo possiamo scrivere, ma poi il resto non ne parliamo mai al telefono, né parleremo mai in ambienti degli uffici”. Poi, altro esempio, Manganaro e Damiani, intercettati, si riferiscono alla necessità di proteggere le conversazioni, e le loro parole sono: “… ho capito faccio fare due Sim… totalmente nuove, due Sim dati, ok, da due soggetti totalmente nuovi, installo Telegram nei dispositivi nuovi”. Il sistema di protezione è stato usato anche per i titolari delle carte di credito da cui sarebbero transitate le tangenti che sarebbero state pagate per aggiudicarsi gli appalti sanitari. E le mazzette sarebbero state mascherate come regolari pagamenti. Ed ancora, tra le pagine dell’ordinanza “Sorella Sanità”, istruita dalla Procura palermitana, si inciampa in tanti “omissis”, a copertura, al momento, di politici e rappresentanti delle Istituzioni.