Il cartello sociale agrigentino, ovvero Ufficio Pastorale, Cgil, Cisl e Uil, tramite don Mario Sorce, Salvatore Pezzino, Alfonso Buscemi, Emanuele Gallo e Gero Acquisto, intervengono a fronte dell’emergenza coronavirus e, tra l’altro, affermano: “Abbiamo avanzato proposte, abbiamo denunciato limiti e deficienze: adesso vogliamo semplicemente richiamare alle proprie responsabilità per il disastro a cui rischiano di condannare i cittadini agrigentini, la classe dirigente deputata alla soluzione del problema. Attendiamo immediate risposte con scelte precise tendenti a preparare un’adeguata cura ai cittadini che risulteranno positivi al coronavirus, a garantire il rispetto dei divieti, a fronteggiare la grave crisi economica che impatta sulle famiglie, e, alcuni, a fare anche ulteriori sforzi, sospendendo il pagamento dei tributi locali”.
E in riferimento alla sospensione del pagamento della scadenze, e quindi, in termini più ampi, al “fermiamoci tutti”, dunque chiudere tra l’altro anche le poste, e sospendere mutui, rate e altro, l’avvocato agrigentino, Giuseppe Sodano, ha scritto una lettera inviata tramite pec al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Ecco il testo integrale della lettera:
Egregio Presidente Conte,
mi presento: mi chiamo Giuseppe Sodano e sono un avvocato di Agrigento.
Le scrivo questa mia in queste ore di enorme difficoltà per il nostro Paese nella speranza che possa leggerla e che essa si riveli in qualche modo utile.
Le premetto che non sono un simpatizzante per il partito che Ella rappresenta e, anzi, sono stato candidato in un partito opposto alle scorse nazionali.
Tale premessa non per esprimere critiche, ma per mera onestà intellettuale.
La presente lettera, infatti, è quella di un cittadino avvocato al suo Presidente del Consiglio, nel più stretto dialogo tra il cittadino e l’istituzione che Ella incarna.
Ho aspettato ieri, trepidante si potrebbe dire, il Suo annuncio giunto a tarda sera sulle nuove restrizioni da Lei imposte per frenare la epidemia da CoViD-19.
Non posso nascondere la delusione che ho avuto nel sentire le Sue parole.
Ritengo, e non credo di essere solo in ciò, che le ultime misure dal Governo varate non siano sufficienti e adeguate a quella che è una battaglia che, dai numeri quotidianamente sciorinati dal telegiornale, non sembra che si stia vincendo.
Presidente io sono un avvocato, il Suo Governo non ha previsto niente per la mia categoria. Ho due mutui, uno per l’auto che mi serve per lavorare e uno per pagarmi un master universitario che mi è servito per migliorare la mia professionalità. Giorno 30 o 31 dovrò recarmi in banca per pagarli perché questi mutui non sono stati sospesi. Ero convinto, ieri sera, che questo non sarebbe stato possibile. Che l’accesso alla banca sarebbe stato interdetto. Che anzi sarebbe stato doveroso stare a casa e ogni altro adempimento, economico, sarebbe stato messo da parte di fronte al bene primario che è la salute. Non è stato così. Lei ha chiuso solo delle fabbriche, e non sono insensibile al danno che ciò causerà.
Ma non è abbastanza Presidente. Sono altre le misure che Ella dovrebbe prendere. Chiuda le banche e le poste se non per il trasporto merci e l’utilizzo dei bancomat. Sospenda ogni pagamento di mutui e ratei, ci sarà tempo per continuare a pagarli. Sospenda le scadenze, così non ci dovremo recare in posta per spedire raccomandate.
E soprattutto: preveda pene più severe per i trasgressori, non possiamo permetterci blandi rimproveri in un momento di crisi. Leggo che alcune Procure sequestrano l’auto ai furbetti dell’ultima ora, ciò perché sanno che la certezza della pena è la migliore forma di deterrente. Tuttavia questa percezione dettata dall’esperienza non ha ancora raggiunto le stanze di Palazzo Chigi.
Questo è il problema Presidente. Io dovrò uscire per lavorare, pagare i mutui e rimanere in casa per quanto mi è possibile. Farò il minimo indispensabile Presidente, che è anche il massimo che posso fare. Ed è questa la differenza fra Ella e me, Presidente: io sto facendo il massimo che posso fare, pochissimo nel mio essere un cittadino di modeste possibilità; il Governo sta facendo meno del massimo, che è troppo poco rispetto alle Sue enormi possibilità. Troppo poco, e troppi pagheranno per questo poco.
E ancora il Governo non prevede la revoca delle licenze per i bar e i ristoranti che aprono nonostante i divieti. Sa perché dovreste revocarle? Perché ci si ricordi di chi ha disertato l’Italia nel momento del supremo bisogno.
Sì Presidente, parlo di diserzione, perché siamo in guerra. Una guerra che stanno combattendo in molti.
Perché fuori, Signor Presidente, c’è chi sta facendo più di tutti: più di Lei, più del Governo, più di me. Parlo dei medici, degli infermieri, dei farmacisti e del personale sanitario tutto. Uomini e donne il cui coraggio e valore farebbe impallidire le mogli degli opliti spartani. Ma questi uomini devono sapere che quello che fanno è utile, che hanno le spalle coperte, come in una falange ogni uomo difende il compagno ed il generale sceglie la strategia più adatta.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri è seduto sullo scranno del generale. E deve prendere quelle tragiche decisioni che pesano sull’animo dei grandi uomini come macigni, ma che la storia giudica con la saggezza del poi.
Come quando si chiamò alle armi i ragazzi del ’99, giovani diciottenni, chiamati a morire per un paese che, per giovinezza, non avevano ancora imparato ad amare e che amarono sul fronte, col fucile a tracolla e l’elmetto calato in testa. E vinsero tutte le battaglie in cui furono impegnati. Quanto ebbe a pesare sul suo omologo di un tempo questa tragica scelta? Non lo si può realmente sapere. Ma la scelta fu giusta, e oggi chiamiamo il fiume Piave con l’appellativo di “sacro alla patria”, forse dimenticando che esso divenne sacro col sangue dei giovanissimi della nostra nazione.
Ecco Presidente, io Le chiedo di fare quelle scelte coraggiose che noi non possiamo prendere ma che ci aspettiamo dal Governo. E non si preoccupi, oggi come allora l’Italia risponderà “Presente!”.