Animata testimonianza di Ilda Boccassini a Caltanissetta al processo sul depistaggio strage Via D’Amelio. “Si doveva capire subito che Scarantino non era credibile”.
A Caltanissetta, al palazzo di giustizia, al processo a carico dei poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, imputati di concorso in calunnia, aggravata dall’avere favorito Cosa Nostra, nell’ambito dell’inchiesta sul depistaggio delle indagini dopo la strage di via D’Amelio tramite il falso pentito Vincenzo Scarantino, ha deposto come testimone la magistrato Ilda Boccassini, ex procuratore aggiunto in pensione da due mesi, e all’epoca parte del pool che indagò sulla strage. Tra l’altro, Ilda Boccassini ha dichiarato: “Io arrivai nell’ottobre del ’92 e rimasi fino al 1994. Ricordo con affetto, quando arrivai alla Procura di Caltanissetta, una frase dell’allora Procuratore capo Giovanni Tinebra, che io non conoscevo, e mi disse: ‘Cocca mia, qua ci sono le carte, arrangiati, vedi cosa devi fare’. Questo fu il primo impatto. Il pentito Scarantino? Si doveva capire subito che era inattendibile. Quando io sono arrivata alla Procura di Caltanissetta, anche parlando con i colleghi che già c’erano, con il capo dell’ufficio Tinebra e lo stesso dottor Arnaldo La Barbera, i dubbi su Scarantino già c’erano: dubbi su una persona che non era di spessore, anzi che non era per niente di spessore. Il suo quid, se così possiamo chiamarlo, era una parentela importante in Cosa nostra, però sin dall’inizio io avevo delle perplessità. Forse all’inizio avevo meno perplessità perché non ero ancora entrata nelle carte, nella mentalità. Io ero lì in attesa, ma tutti erano con i piedi di piombo su questa cosa. Era l’inizio ancora e bisognava andare avanti per vedere se l’indagine portava a qualcosa di più sostanzioso. Si doveva capire subito che era inattendibile. I magistrati che davano credito a Scarantino erano i pm Annamaria Palma e Carmelo Petralia. Quando tornai dalle ferie di agosto del 1994, ed ebbi modo di vedere il contenuto degli interrogatori di Vincenzo Scarantino, lessi che diceva sciocchezze e che bisognava fare in modo di fermarlo per evitare che dicesse altre sciocchezze. Io ero disponibile persino a un trasferimento d’ufficio da Milano alla Procura di Caltanissetta, ero disposta a restare anche per la tutela delle indagini. Ma l’allora Procuratore Tinebra disse ‘assolutamente no’, cioè non mi volevano… Sì, sono stata così imbecille da essere disposta a trasferirmi a Caltanissetta. Non vedevano l’ora che io abbandonassi Caltanissetta. Se avessero seguito le mie indicazioni, sia i magistrati che gli avvocati avrebbero avuto il tempo, la professionalità, per capire che Scarantino non era credibile. La relazione che io e il collega Roberto Saieva facemmo sulla non credibilità di Vincenzo Scarantino era sparita da Caltanissetta ma io ne avevo diverse copie. Fino alla fine dissi ai colleghi che bisognava cambiare metodo, che Scarantino andava preso con le molle. Vedendo che c’era questa voglia che io andassi via da Caltanissetta scrissi la seconda relazione. Soltanto con il pentimento di Gaspare Spatuzza, nel 2008, ricevetti una telefonata dall’allora Procuratore della Repubblica di Caltanissetta, Tinebra, che mi chiese se era vero che io avevo scritto delle relazioni con Roberto Saieva. Erano sparite. Io e Saieva, dopo averne parlato con Giancarlo Caselli, mandammo le relazioni direttamente a Palermo. Se non avessi fatto queste relazioni, oggi avrei avuto tutte le colpe di questo mondo. Ma con queste relazioni è più complesso… Prima degli interrogatori il Procuratore Tinebra si chiudeva in una stanza, solo, con Vincenzo Scarantino. Non so il tempo preciso ma per un bel po’. Poi Tinebra apriva le porte e si entrava a fare l’interrogatorio”.