L’inchiesta della Procura di Agrigento sul caso “Diciotti” è a Palermo. Oltre i cinque capi di imputazione, Patronaggio contesta otto violazioni che configurano l’abuso d’ufficio.
Il procuratore della Repubblica di Agrigento, Luigi Patronaggio, ha firmato l’atto contenente i capi d’imputazione contro il ministro Salvini e il prefetto Piantedosi nell’ambito dell’inchiesta sul caso “Diciotti”, e lo ha consegnato ad un “piccione viaggiatore” (tra virgolette), un ufficiale della Guardia Costiera incaricato a consegnarlo a Palermo al procuratore capo, Francesco Lo Voi. E Lo Voi a sua volta ha tempo fino al prossimo 15 settembre per valutare l’atto del collega Patronaggio, confermando o modificando l’impianto accusatorio. Dopodiché il tutto sarà sul tavolo dei tre giudici che compongono il Tribunale dei ministri di Palermo, che entro 90 giorni valuteranno e approfondiranno anche loro, eventualmente ascoltando le parti interessate. E il ministro Salvini ha già annunciato di volere essere interrogato. Anche le parti offese, i migranti, hanno facoltà di essere interrogati e di costituirsi parte civile se sarà imbastito un processo. Nel dettaglio il procuratore Luigi Patronaggio contesta la violazione dell’articolo 289 ter del codice penale, il sequestro a scopo di coazione, perché il ministro Salvini avrebbe trattenuto in ostaggio 177 persone per costringere l’Unione Europea alla re-distribuzione dei migranti contro la convenzione di Dublino.
E poi, altra violazione, l’articolo 605 del codice penale, il sequestro di persona, per avere mantenuto 177 migranti ristretti per 10 giorni, senza alcuna ragione, sulla nave “Diciotti”.
E poi l’articolo 606 del codice penale, l’arresto illegale, perché il trattenimento illegittimo dei migranti a bordo della nave sarebbe stato una forma di arresto non autorizzato.
E poi l’articolo 328, l’omissione di atti d’ufficio, perché non è stato indicato il porto di sbarco sicuro alla Guardia Costiera che lo ha chiesto dopo il salvataggio dei migranti. Catania è stato solo uno scalo tecnico.
E poi l’articolo 323, l’abuso d’ufficio, per avere violato, in almeno otto casi, le disposizioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e altre norme internazionali, articoli della Costituzione Italiana e del Testo unico sull’immigrazione. E gli otto casi sono:
l’articolo 5 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo: “Nessuno può essere privato della sua libertà”.
L’articolo 13 della Costituzione Italiana: “La libertà personale è inviolabile”.
L’articolo 10 comma 3 della Costituzione, che garantisce il diritto di asilo allo straniero al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche.
E poi la violazione del Regolamento di Dublino del 2013, che garantisce protezione internazionale ai minori non accompagnati e per le donne vittime di stupri.
E poi l’articolo 10 ter del Testo unico sull’immigrazione, secondo cui i migranti debbono essere tempestivamente informati del diritto all’asilo.
E poi la violazione dell’articolo 47 della legge 7 del 2017 che prevede il rilascio del permesso di soggiorno ai minori non accompagnati.
E poi la violazione dell’articolo 60 della Convenzione di Istanbul e l’articolo 7 del decreto legislativo 251 del 2007 che garantiscono la massima tutela per le donne che hanno subito violenza. E quindi le 11 donne dell’Eritrea violentate nei campi libici avrebbero avuto subito diritto allo status di rifugiati.