Le presunte vittime delle estorsioni svelate dall’inchiesta “Montagna” collaborano con gli inquirenti. Prosegue il racconto del pentito Quaranta.
Subito dopo il blitz “Montagna”, lo scorso lunedì 22 gennaio, i magistrati della Procura distrettuale antimafia di Palermo, o i Carabinieri agrigentini appositamente delegati, hanno ascoltato le circa venti presunte vittime degli altrettanti episodi di estorsione, ne sono stati contati 27, che l’inchiesta avrebbe svelato. Gli interrogatori sono stati giustificati dalla necessità di riscontrare l’esito delle indagini, e si sarebbero rivelati sorprendenti, perché coloro che avrebbero subito estorsioni e prevaricazioni criminali non si sarebbero trincerati dietro omertà e diffidenza ma avrebbero attivamente collaborato, con coraggio e determinazione. Si tratta di una circostanza storica e che modifica radicalmente il corso della storia anche nella provincia agrigentina, dove i casi del genere sono stati finora meno ricorrenti che altrove. Tanti imprenditori taglieggiati hanno ammesso di essere stati appesantiti dalla pressione del racket. E non solo i titolari delle aziende ma anche i dipendenti, in una sorta di circolo virtuoso, che promette di trasformarsi in un vortice bonificatore. Nel frattempo, proseguono anche gli interrogatori dell’ex capomafia di Favara fino al 2014, adesso collaboratore della Giustizia, Giuseppe Quaranta, che, tra l’altro, si è soffermato sul periodo di latitanza a Favara del boss di Porto Empedocle, Gerlandino Messina, e, innanzi ad una fotografia che gli è stata mostrata, ha raccontato: “Riconosco Luigi Pullara, uomo d’onore della famiglia mafiosa di Favara, combinato. E’ un netturbino a Favara. Ha avuto un centro scommesse e si occupa di estorsioni, ed ha anche disponibilità di armi e droga. So che si è occupato della latitanza di Gerlandino Messina, insieme al cognato Angelo Di Giovanni. Mi parlava di fucili e pistole che nascondeva in un borsone nell’appartamento della madre di Di Giovanni in contrada San Francesco. Salendo dove ci sono la case popolari è l’ultima casa sulla destra dove c’è un numero. E’ possibile che la casa sia intestata alla madre di Di Giovanni”. Poi Giuseppe Quaranta racconta dei rapporti personali all’interno di Cosa Nostra, e afferma: “In Cosa Nostra non si tengono sempre gli stessi contatti con le stesse persone… è raro, specie dopo tutti gli arresti, conoscere tutti. Poi se qualcuno viene arrestato si cambia. In genere si cerca di limitare i contatti perché non è più come una volta quando si facevano le mangiate tutti insieme”. E poi, ancora in riferimento ai capi, le parole di Quaranta sono: “Sino al momento del suo recente arresto, il rappresentante in tutta la provincia di Agrigento era Pietro Campo. Io so che adesso sono in difficoltà seria, ma dentro Cosa Nostra si trova sempre il sistema su come comunicare. Tutto si fa per arrivare a comunicare. Quando ancora non ero stato formalmente affiliato, Francesco Fragapane mi diede l’incarico di recarmi da Pietro Campo, che sino a quel momento non avevo mai visto. Fragapane mi disse soltanto che avrei dovuto chiedere a Campo di incontrare lo stesso Francesco Fragapane. E Fragapane mi disse soltanto che l’incontro sarebbe servito a sistemare la situazione della provincia di Agrigento, in seno alla quale lui Fragapane avrebbe voluto ricoprire l’incarico di capo provincia. Io mi sono recato da Pietro Campo, a Santa Margherita Belice. In questa occasione ho incontrato Pietro Campo presso il suo ovile e gli ho riferito che Francesco Fragapane voleva incontrarlo, ma non gli dissi le ragioni dell’incontro. Campo mi rispose che sarebbe andato a trovarlo o avrebbe mandato qualcuno. Io l’indomani ho riportato la risposta di Pietro Campo a Francesco Fragapane il quale mi disse che, visto il tenore della risposta, sicuramente Pietro Campo non aveva intenzione di incontrarlo”.