Il processo sulla presunta “trattativa” tra Stato e mafia all’epoca delle stragi del 1992 si svolge a Palermo, nell’aula bunker dell’Ucciardone, innanzi alla Corte d’Assise presieduta dal giudice Alfredo Montalto. Si sono svolte 201 udienze. Adesso l’istruttoria dibattimentale è conclusa. E la Procura, tramite Nino Di Matteo, Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia e Vittorio Teresi, ha iniziato la requisitoria, che proseguirà almeno fino alla fine di gennaio. Poi, in primavera, è attesa la sentenza. Il pubblico ministero, Roberto Tartaglia, ha esordito così: “Questo processo riguarda un momento importante della storia del nostro paese. Questo processo riguarda i rapporti indebiti fra Cosa nostra e alcuni esponenti delle istituzioni. Nel 1992, con il delitto dell’eurodeputato Salvo Lima e poi le stragi, i mafiosi volevano vendicarsi, ma anche inviare un messaggio di ricatto al governo e alle istituzioni: Cosa nostra cercava la mediazione”. E poi Tartaglia cita le parole di Totò Riina intercettato in carcere: “Io al governo gli devo vendere i morti”. In attesa di giudizio non sono solo i mafiosi, tra Riina, Brusca, e Bagarella, ma anche alcuni esponenti delle istituzioni, tra l’ex senatore Marcello Dell’Utri e gli ufficiali dei Carabinieri del Ros, i generali Antonio Subranni, Mario Mori, e il colonnello Giuseppe De Donno. E ancora il pubblico ministero Tartaglia spiega: “Dell’Utri ha fatto da motore, da cinghia di trasmissione del messaggio mafioso. Gli uomini del Ros hanno fatto invece da anello di collegamento fra Cosa nostra e le istituzioni. Al di là della retorica affermazione della linea della fermezza, in quella stagione è emersa un’altra verità: una parte importante delle istituzioni è stata spinta da esigenze personali, politiche, egoistiche, da ambizioni di potere contrabbandate da ragion di Stato”. E poi, Tartaglia punta il dito verso la condotta degli ufficiali del Ros e il loro presunto dialogo segreto con l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino a cavallo delle stragi. E il pubblico ministero afferma: “Gli ufficiali del Ros hanno violato ogni regola e ogni principio, operando una mediazione con modalità occulte. Mori e De Donno hanno mediato tra Cosa nostra e pezzi dello Stato con modalità occulte e hanno garantito a Vito Ciancimino e ad altri esponenti delle istituzioni che la trattativa proseguisse, tenendo fuori l’autorità giudiziaria e creando una zona franca dai principi dello Stato di diritto. Le regole sono state sospese con risultati disastrosi. E il comportamento degli ufficiali ha realizzato due obiettivi storici di Cosa nostra: aumentare la forza dell’organizzazione mafiosa e addirittura confermare e orientare la volontà di Cosa nostra di attaccare lo Stato frontalmente. Hanno orientato perfino la scelta degli obiettivi da colpire che nel tempo sono cambiati rispetto a quelli iniziali. Non più i politici ritenuti traditori ma obiettivi come quelli di Roma, Firenze e Milano che rispondevano meglio alla logica di quella mediazione: aumentare l’allarme sociale”. E Roberto Tartaglia cita le parole del pentito Gaspare Spatuzza, che con il suo capomafia, il boss Giuseppe Graviano, in riferimento ai morti di Roma, Firenze e Milano, si sfogò così: “Ci stiamo portando morti che non sono nostri”. E Graviano gli rispose: “E’ buono, così quelli che si devono muovere si danno una smossa”.