La Soprintendenza ai Beni culturali di Agrigento ha appena apposto il vincolo sull’automobile, la Ford Fiesta rossa, del giudice Rosario Livatino, crivellata di proiettili. Il magistrato fuggì fuori dall’abitacolo, lanciandosi disperatamente giù nel dirupo, ma fu inseguito e ucciso. Il primo giorno d’autunno, il 21 settembre, del 1990. E adesso, alla vigilia del 19 luglio 2017, un quarto di secolo dopo la strage di Via D’Amelio contro il giudice Paolo Borsellino e la scorta, è stata danneggiata a martellate la stele che nel luogo dell’agguato, in contrada Gasena, appena fuori Agrigento, lungo la strada statale 640, ricorda e tramanda la morte del “martire della Giustizia e indirettamente della Fede”, come lo definì Papa Karol Wojtyla, incontrando ad Agrigento, il 9 maggio del 1993, i genitori di Livatino, Vincenzo e Rosalia, che poi espressero il desiderio della costruzione della stele. Giustizia e Fede sono state inscindibili per il “giudice ragazzino”, come lo intese il presidente della Repubblica dell’epoca, Francesco Cossiga. Infatti, in occasione di una conferenza sul rapporto tra fede e diritto, Rosario Livatino affermò: “Decidere è scegliere, e a volte scegliere fra numerose cose o strade o soluzioni. E scegliere è una delle cose più difficili che l’uomo sia chiamato a fare. Ed è proprio in questo scegliere per decidere, decidere per ordinare, che il magistrato credente può trovare un rapporto con Dio. Nella consapevolezza che per giudicare occorre la luce e nessun uomo è luce assoluta”. Con una pietra o un martello è stata spaccata la parte di marmo dove è stato scritto il nome di Rosario Livatino. Un operaio in transito si è accorto di quanto compiuto. E ha lanciato l’allarme. Il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, su twitter ha scritto: “Onore alla memoria oltraggiata del giudice Livatino. Italia unita alla vigilia dell’anniversario della strage di Via D’Amelio”. E il presidente del Senato, Piero Grasso, ha rilanciato così: “Il gesto di oggi è un inutile tentativo di infangare la memoria e l’esempio di chi ha onorato l’Italia con impegno e coraggio”. La Procura di Agrigento indaga, la Polizia scientifica è stata impegnata nei rilievi, e il procuratore, Luigi Patronaggio, commenta: “E’ un fatto inquietante, non escludiamo la pista mafiosa”. Poi le associazioni “Amici del giudice Rosario Livatino” e “Tecnopolis” di Canicattì sottolineano: “L’esempio di Rosario Livatino andrà avanti anche se, evidentemente, disturba qualcuno”. E il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, conclude: “L’offesa arrecata alla memoria di Livatino ci spinge a recuperare con maggiore forza l’impegno a vivere e a testimoniare la giustizia. Nessuna barbarie fermerà la volontà di tanti uomini e donne di questa terra che credono nella giustizia. Con la forza umile che ci viene dal giudice Livatino desidero lanciare un appello a tutti: cerchiamo di essere noi un monumento vivente alla giustizia, al bene, al rispetto delle regole, all’amore. L’esempio che ci ha lasciato Livatino ci porti ad essere ‘affamati e assetati di giustizia’. Solo così il suo esempio continuerà a vivere e la nostra testimonianza sarà la risposta più bella a quanti vogliono offendere la memoria delle persone giuste che hanno fatto grande la nostra terra”.