Ad Agrigento al palazzo di giustizia in via Mazzini si sono recate un’ottantina di persone, non per un pellegrinaggio ma, comunque, verso un unico obiettivo: il processo a carico dell’imprenditore Giuseppe Burgio, per costituirsi parte civile, perché sarebbero vittime della presunta milionaria bancarotta fraudolenta che il 28 ottobre del 2016 ha provocato l’arresto in carcere dello stesso Burgio. Secondo quanto emerso dalle indagini nell’ambito dell’inchiesta cosiddetta “Discount”, i fallimenti di quattro società, Gestal, Ingross, Cda e Gsb, avrebbero procurato danni ai creditori sociali per quasi 50 milioni di euro, e le distrazioni ipotizzate ammontano a oltre 13 milioni di euro. E tra le parti civili, quasi tutti sono creditori. Nel frattempo, la presidente della sezione penale giudicante, Luisa Turco, ha ascoltato il primo testimone citato dai pubblici ministeri Simona Faga e Alessandra Russo. Si tratta del curatore fallimentare della Gestal srl, Giuseppe Lentini, che, tra l’altro, ha dichiarato: “La Gestal era una società che gestiva diversi supermercati. E il fornitore era la società Cda, sempre di proprietà del gruppo Burgio. Il volume d’affari era inizialmente abbastanza consistente e si aggirava tra i 15 e i 18 milioni di euro, fino al 2011 quando comincia il crollo. Tra il 2010 e il 2011 la società Gestal presentava un forte squilibrio e una tensione societaria, anche se, in verità, fin dal 2007 si poteva notare tale situazione. I debiti erano molto superiori rispetto al patrimonio, circa 70 volte in più. Una parte dei debiti, ad esempio quelli con l’erario, Iva e buste paga, venivano nascosti nei bilanci. Ma anche con Unicredit vi era un debito e lo stesso Burgio mi disse che una delle cause del fallimento era proprio la sospensione dei fondi di Unicredit. Ma la cosa che ci colpì fu l’analisi degli estratti conto. Praticamente Unicredit aveva occultato il debito della società. Inoltre le scritture contabili non erano aggiornate: l’ultimo bilancio presentato è del 2008 ma la società è fallita nel 2012. E per questo abbiamo riscontrato non poche difficoltà a ricostruirlo. Già dal 2009 la società presentava perdite. Ho manifestato forti dubbi su una plusvalenza, avvenuta l’anno prima, che non aveva motivo di esistere dato che non c’era stata una rivalutazione di beni e nemmeno vendite. Questo meccanismo delle plusvalenze serviva solo per nascondere le perdite, che già nel 2009 erano di quasi 11 milioni di euro. Nel 2013 Burgio propose dei concordati fallimentari e si giunse ad un accordo sulla base di 3 milioni di euro. La proposta prevedeva l’utilizzo di una società creata ad hoc che, tramite un’altra inglese, avrebbe acquistato le quote societarie. La transazione non fu mai rispettata”.