Un mese addietro, lo scorso 14 febbraio, San Valentino, nell’ambito dell’inchiesta per bancarotta fraudolenta a carico dell’imprenditore agrigentino Giuseppe Burgio, 52 anni, arrestato dalla Guardia di Finanza lo scorso 28 ottobre, ancora la Guardia di Finanza e la Procura di Agrigento hanno sequestrato 5 immobili della Ho.P.A.F. S.r.l, di cui 3 residenziali, tra uno a Palermo e 2 ad Agrigento, in via Minerva, dove ha risieduto Burgio, e poi altri 2 a destinazione commerciale, uno a Porto Empedocle, che è il Centro “Le Rondini”, e l’altro a Gela. Il loro valore è stimabile in oltre 16 milioni e 500mila euro. Secondo gli indaganti, tali immobili, oltre ad essere il frutto delle plurime ipotesi di bancarotta fraudolenta, sarebbero stati utilizzati per protrarre nel tempo le stesse condotte delittuose mediante la rappresentazione contabile di un valore sovrastimato rispetto al reale. Infatti, tramite false rappresentazioni contabili di tal genere, Giuseppe Burgio ed i suoi più stretti collaboratori avrebbero rinviato indebitamente la dichiarazione di fallimento di 4 società, tra cui la “Centro distribuzioni alimentari Spa”, con danni ai creditori per quasi 50 milioni di euro, e distrazioni direttamente imputabili a Giuseppe Burgio per oltre 13 milioni di euro. Ebbene, in uno degli immobili sequestrati a Burgio, un appartamento in via Minerva 15, la Guardia di Finanza ha scoperto e sequestrato alcuni reperti archeologici. Si tratta di due anfore e di un vaso. Le Fiamme Gialle hanno chiesto lumi sul perché del possesso dei reperti, ma la luce non è stata accesa. Poi, due funzionari della Soprintendenza ai Beni culturali sono intervenuti sul posto, hanno esaminato i reperti e hanno sentenziato che si tratta di oggetti di valore archeologico. Le anfore, utilizzate probabilmente per contenere vino e olio, sono risalenti al periodo bizantino. E il vaso, servito per gli infusi, sarebbe databile all’epoca medievale. Il tutto è in perfetto stato di conservazione. Ecco perché i coniugi Burgio, marito e moglie, sono stati denunciati per impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato. Le anfore e il vaso sono stati affidati in custodia giudiziale agli stessi funzionari della Soprintendenza di Agrigento per l’esposizione e la fruizione pubblica.