A Roma, in Cassazione, i giudici della Suprema Corte, hanno rigettato i ricorsi delle parti in causa, tra la Procura Generale della Corte d’Appello di Palermo contro le tre assoluzioni e i due imputati condannati in secondo grado. E il sigillo del giudicato è stato apposto alla sentenza “Ouster”, dal nome di battesimo dell’inchiesta su presunte estorsioni aggravate da mafia a Licata e dintorni, emessa dalla Corte d’Appello di Palermo poco più di un anno addietro, l’8 maggio 2016. Per Pasquale Antonio Cardella, 65 anni, ritenuto dalla Procura antimafia di Palermo un riferimento di Cosa Nostra a Licata, difeso dall’avvocato Lillo Fiorello, è stata confermata l’assoluzione dal reato di estorsione a danno di Francesco Urso, principale testimone dell’accusa, “perché il fatto non sussiste”. Lo stesso Cardella, peraltro, ha appena subito un sequestro di beni per 1 milione e 800mila euro. E poi ancora è stata confermata l’assoluzione di Giuseppe Cardella, 36 anni, di Licata, nipote di Pasquale Cardella, e di Giuseppe Claudio Cardella, 41 anni, di Licata, figlio di Pasquale Antonio Cardella, che hanno risposto alla contestazione di estorsione a danno dello stesso Francesco Urso e di un altro imprenditore edile, Michele Giorgio. E poi è stata confermata la riduzione della condanna, conquistata in Appello, ad Angelo Occhipinti, 62 anni, da 6 anni e 6 mesi a 5 anni e 4 mesi, e a Giuseppe Galanti, 58 anni, da 6 anni a 4 anni e 3 mesi. Anche Occhipinti e Galanti, difesi dagli avvocati Giovanni Castronovo e Nino Gaziano, sono stati imputati di tentata estorsione a danno dello stesso Francesco Urso, parte civile tramite l’avvocato Giuseppe Scozzari, perché gli avrebbero imposto dei trasporti di inerti e perché avrebbero preteso una tangente di 40mila euro pari al 2 per cento del valore di una fornitura di calcestruzzo commissionata all’impresa di Urso, la “Beton Mix srl”, nel 2011, tra Riesi e Ravanusa. L’imprenditore licatese Francesco Urso è stato sostenuto in tutte le fasi del processo da ConfIndustria Centro Sicilia, il Centro studi Pio La Torre, Sos Democrazia e l’associazione antiracket Libere Terre, tutte parte civile in giudizio.