Ad Agrigento, al palazzo di giustizia, la pubblico ministero Alessandra Russo ha bussato alla porta del giudice per le indagini preliminari del Tribunale, Francesco Provenzano, e ha chiesto il sequestro dei beni dell’ex direttore dell’Ufficio postale di Castrofilippo. E il giudice Provenzano ha risposto sì, ok. E perché? Perché Vincenzo Di Rosa, 56 anni, di Agrigento, armeggiando vari pretesti, avrebbe sottratto i risparmi ai clienti dell’Ufficio postale di Castrofilippo di cui è stato direttore. Ad esempio avrebbe trescato sul libretto degli anziani pensionati per aggiornare gli interessi, a modo suo: a danno di un pensionato, tra l’altro, avrebbe prelevato 50 mila euro incassando la polizza vita collegata al titolo finanziario. Oppure approfittando della morte dei correntisti, avrebbe ottenuto dai familiari i titoli assicurandoli che avrebbe risolto le pratiche per l’incasso e, invece, avrebbe prelevato indebitamente denaro. Vincenzo Di Rosa è stato rimosso dal suo Ufficio ed è stato sottoposto ad un procedimento disciplinare, parallelo al penale, adesso sfociato nel sequestro cautelare dei beni, ossia in proporzione di quanto indebitamente incassato. I sigilli sono stati inchiodati a beni per un valore complessivo di circa 200 mila euro: a tanto, se non di più, ammonterebbe la truffa. Il sequestro comprende titoli, obbligazioni e altre forme di investimento, e poi anche, a maggiore garanzia, e quindi in subordine, beni mobili e immobili, tra un’automobile, una motocicletta, e la quota, del 50 per cento, di un appartamento. Ascesa e discesa dell’inquisito, Vincenzo Di Rosa, prima postino e poi, in rapida progressione verticale, direttore. Lui non risponderà solo di truffa ma anche di peculato, ossia il furto commesso da un pubblico ufficiale che ruba ciò che possiede in ragione del suo ufficio, perché si sarebbe appropriato altresì di 51 mila euro dell’Ufficio Postale. A carico di Vincenzo Di Rosa, difeso dagli avvocati Salvatore Pennica e Alfonso Neri, è stata invocata la misura cautelare della sospensione dal lavoro. Il giudice non si è ancora pronunciato, e ormai non avrebbe alcun effetto concreto qualora si pronunci, perché l’indagato è stato rimosso.