A Camastra, poco più di duemila abitanti in provincia di Agrigento, si sarebbe pagato il pizzo anche sui funerali. E innanzi ai giudici della seconda sezione penale del Tribunale di Agrigento si sono presentati i titolari di un’agenzia di onoranze funebri a Camastra, affinchè siano ammessi parte civile al processo antimafia cosiddetto “Vultur”, che è “avvoltoio”, tradotto dal latino. E così anche la Fai, la Federazione antiracket italiana. Gli imputati sono 5, e lo scorso 16 gennaio, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo, accogliendo la richiesta dei pubblici ministeri della Direzione distrettuale antimafia, Alessia Sinatra e Maria Teresa Maligno, ha disposto il giudizio immediato, in ragione delle ritenute evidenti prove di colpevolezza, a carico di Rosario Meli, 68 anni, presunto capo della famiglia mafiosa di Camastra, il figlio Vincenzo, 46 anni, poi Calogero Piombo, 65 anni, anche lui di Camastra, e poi Calogero Di Caro, 70 anni, di Canicattì. Invece, Angelo Prato, 38 anni, di Camastra, che, in occasione dell’interrogatorio di garanzia, ha risposto: “Conosco i Meli solo perché il paese è piccolo, ma non ho rapporti con loro”, sarà giudicato in abbreviato il prossimo 14 marzo. Secondo gli investigatori della Squadra Mobile di Agrigento, capitanati da Giovanni Minardi, alla famiglia di Rosario Meli, conosciuto come “U puparu” ed ex consigliere comunale della Democrazia Cristiana, non sarebbe sfuggita alcuna preda, ed ecco perché l’inchiesta è stata battezzata Vultur – avvoltoio. L’esempio a testimonianza di ciò, che ha determinato la costituzione di parte civile, è un’impresa di onoranze funebri a Camastra, che è già stata sotto protezione pagando 500 euro ogni 2 – 3 mesi. Quando il presunto protettore dell’ impresa è stato ucciso, al funerale, il 2 febbraio del 2012, il titolare dell’impresa funebre sarebbe stato abbordato da Rosario Meli: “Ascoltami, da ora in poi i 500 euro che hai pagato al morto adesso li paghi a me.” E le parole di Meli rivolte all’imprenditore testualmente sarebbero state: “Ora mettici un punto…da questo funerale i 500 euro…li porti a me.” Poi, il 26 luglio del 2012, Rosario Meli avrebbe ancora una volta incontrato l’ imprenditore per rimproverarlo, per non avere pagato nulla di quanto richiesto, nuove rate e arretrati. E le parole di Meli in tale occasione sarebbero state: “Guarda che noi non bruciamo macchine, ma facciamo altro.” L’imprenditore avrebbe risposto: “Non ho disponibilità di denaro, e sei libero di fare quello che vuoi”. E la notte tra l’ 1 e il 2 novembre 2012, tra i Santi e i Morti, l’automobile dello stesso imprenditore ha subito un incendio. I due sono adesso in Tribunale, al palazzo di Giustizia, ad Agrigento, in via Mazzini, su due fronti opposti, al cospetto del giudice terzo.